Università della terza età
Chi di noi, durante la pandemia, non si è trovato a sentire queste frasi?: “tanto muoiono solo i vecchi” (come se la vita degli anziani contasse naturalmente meno di quella degli altri); “gli anziani non sono membri produttivi della società” (come se l’importanza e il contributo che un essere umano può dare alla società fosse calcolabile in utili economici); “facciamo un lockdown solo per gli anziani, tanto loro non lavorano” (come se gli anziani non avessero lo stesso, se non anche maggiore, bisogno di avere una vita sociale e relazioni con il mondo esterno).
Da qui l’idea: perché non rovesciare questo paradigma dell’anziano inutile, improduttivo e passivo creando un’università della terza età…al contrario?
L’idea è quella di creare una serie di corsi, laboratori e conferenze nei quali i docenti dovranno, necessariamente, avere più di 65 anni.
Le iscrizioni e la partecipazione al corso saranno invece aperte a tutte le fasce di età, senza distinzione: unico requisito essere interessati alla materia.
In questo modo, gli anziani diventano soggetti attivi del progetto, non meri destinatari passivi, in un sistema di scambio che arricchisce l’intera società: gli anziani condividono il loro sapere, le loro conoscenze e la loro esperienza, ottenendo in cambio il riconoscimento del loro ruolo di memoria sociale e della loro importanza per la sopravvivenza stessa della nostra cultura. I corsi e i laboratori possono abbracciare le tematiche più vaste, da laboratori pratici che tramandino i lavori manuali “di una volta”, a corsi tenuti magari da ex docenti, ex medici ed ex professionisti ormai in pensione. Ci saranno spazi dedicati alla narrativa, alla storia, alla memoria.
Un modo per far vedere che gli anziani, oggi, sono tutt’altro che improduttivi, tutt’altro che sacrificabili, tutt’altro che passivi. Anzi, sono coloro da cui più abbiamo da imparare.
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